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Nuovi "centri" e nuove "provincie" Quali possono essere allora le peculiarità positive dell’esperienza artistica nella “provincia”? Se partiamo dal presupposto che le distinzioni centro/periferia oggi, non sono di ordine geografico ma nell’ordine della comunicazione, possiamo intendere come “provincia” tutto ciò che resta marginale o non si integra alla “globalizzazione”, cioè che resta estraneo alla “nuova centralità” costituita dai valori stabiliti dalla comunicazione e da chi la organizza. Pertanto anche molto di ciò che accade oggi in Italia è metaforicamente “provincia”, rispetto alla “globalizzazione” dei valori culturali che vengono proposti nelle grandi manifestazioni mediatiche, come sono ad esempio le Biennali veneziane, le Documenta di Kassel o le politiche imprenditoriali delle gallerie e riviste newyorchesi o londinesi. Con “provincia” oggi potremmo intendere (in modo decisamente positivo) ogni realtà che mostra “identità autonoma” rispetto ai parametri di riconoscibilità proposti dalla globalizzazione della cultura mediatica e mercantile. “Provincie” e “centri” si distinguono anche per ragioni di maggiore “visibilità” mediatica e non tanto per l’oggettivo valore di ciò che in essi viene proposto: certamente in condizioni di maggiore possibilità di scambio di informazioni, aumentano le possibilità di elaborare delle esperienze significative, ma la maggior velocità delle relazioni non aiuta concretamente la possibilità di approfondirle, cosa che può avvenire tranquillamente in ambienti dove il flusso delle relazioni è rallentato. Ritengo che questa differenza di condizioni sia un fatto piuttosto importante: fino ad ora la cultura è stata concepita in una direzione di sviluppo “lineare”: un movimento di idee segue un altro in un rapporto dialettico di superamenti evoluzioni. Ma oggi questa visione “lineare - verticale”, funzionale alle logiche di mercato, dovrebbe lasciare il posto ad una “orizzontale e ciclica” che è più consona all postmodernità. Significa in pratica che la visione “progressiva” perde di senso e che si afferma maggiormente la necessità di quella “analitica” relazionale, cioè appare necessario provare ad orientarsi all’interno di un insieme paritetico di stimoli, valori e possibilità anche contraddittorie. Secondo ciò che si sta verificando nella contemporanea cultura di massa, l’esperienza di “centro” è oggi quella della “cultura globalizzata” creata dalla comunicazione e dalla sua velocità, cioè, la cultura della “mutazione continua” degli stimoli dovuta al flusso continuo di informazioni anche contrastanti (16). E’ la cultura emergente dal “melting pot” (crogiolo) che si trasforma in “melting pop” in una serie di contaminazioni continue e trasversali dove l’arte visiva si fonde e confonde con moda, musica, cinema, videoclip, in un sistema di mutazione e mutuazione continua e totale (17). Si potrebbe quasi dire che la cultura “del centro” non abbia in realtà centro, cioè, non ha senso leggibile ma solo possibile, è combinatoria, è un dato di evidenza continuamente mobile.La “provincia” è ciò che è al margine del flusso centrale della comunicazione, il luogo del “rallentamento” degli stimoli, cioè, il luogo dove è possibile la riflessione su di essi. L’esperienza della “provincia” può significare implicitamente, l’esperienza della “riflessione”, della profondità, al contrario di quella della “mutevolezza” e della multiformità che è l’esperienza del “centro”. L’appartenenza alla provincia diventa un fattore positivo quando la distanza che volontariamente si prende dal “centro” è di ordine culturale e non nega una relazione critica con esso. Per “provincia” vorremmo quindi intendere la “distanza progressiva” dal flusso più veloce dell’informazione e del cambiamento continuo: essa favorisce una definizione migliore della propria identità perché l’artista risulta tendenzialmente meno esposto ai condizionamenti teoretici, ideologici e mercantili del mondo contemporaneo; è consentita potenzialmente una maggiore libertà operativa e una migliore coerenza tra ciò che si comprende della propria esperienza e ciò che si intende fare per rappresentarla. Inoltre per via del nuovo modo di relazionarsi con le informazioni, non è affatto esclusa la possibilità di entrare in contatto con i fatti della cultura artistica internazionale. Con queste condizioni è possibile che maturino nella “provincia” esperienze autentiche ed interessanti, profondamente e attualmente “contemporanee”, potenzialmente più innovative nella sostanza, di ciò che “l’internazionalismo” consente. La differenza sta sostanzialmente nell’atteggiamento etico e mentale scelto dall’artista: se egli, pur nella provincia si sa relazionare dal suo punto di vista alla contemporaneità, troverà proprio nella provincia una insostituibile condizione di libertà “ambientale” e intellettuale e anche la capacità di rileggere gli stimoli originari della sua formazione e della sua cultura antropologica – ambientale in un contesto culturale più ampio. Questo modo di appartenere alla provincia è esistito anche nel passato recente: nella difficoltà della specifica condizione si son potuti evitare le pressioni dei “fattori normativi” che agivano nel mondo dell’arte tra gli anni ’60 e ’70: ideologismi, precettistica della critica, esigenze di mercato, adeguamento al gusto dominante proposto dalla dominazione massmediatica. Sia nella contemporaneità che nel passato, l’esperienza di una provincia (ben consapevole dei dibattimenti del “centro”) è stata ed è una esperienza di libertà, di possibilità di riflessione, di ricerca di identità e di senso. Il rischio grande (e talvolta, il prezzo pagato) è di non veder riconosciuta la propria esperienza e quindi essere penalizzati proprio in “visibilità” e oggi, non essere visibili significa in fondo, non esistere, ma è anche vero che il confluire nella mobilità continua della comunicazione significa la stessa cosa, con l’aggravante della nullificazione dell’identità. Quale di questi luoghi allora, rappresenta meglio la contemporaneità? Il primo rappresenta sicuramente l’espressione di una “centralità” sempre più virtuale e autoreferenziale che rimanda a fenomeni comunque “controllabili” nella loro struttura, ma non negli “effetti”. La cultura del “melting pop” è urbana ed esiste nelle società dove si da rilevanza acritica ai fenomeni della cultura di massa, che non dimentichiamo, sono facilmente orientati e orientabili continuamente volubili e inconsistenti (volutamente) al livello del “senso”. Il secondo luogo è quello della “esperienza”, della “comprensione necessaria” della inevitabile ricerca del senso del proprio fare, del proprio agire e del proprio essere. E’ il luogo dove spazio e tempo appartengono a chi li usa, dove è possibile osservare ciò che incessantemente fluisce e chiedersi perché e dove. Entrambi i luoghi ci appartengono, l’uno senza l’altro, non si comprendono, ma il secondo permette meglio di scoprire se stessi. (16) Ed è qui che sorge in conseguenza "L'estetica della comunicazione": M. COSTA, L'estetica della comunicazione, cit. 1999 in part. pp. 9; 17-19; 32-35 (17) G.MARZIANI, Melting Pop cit., in particolare pp. 15-16
Theorèin - Dicembre 2005
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